1865 – 2015.
Ecco la vera storia della più avventurosa ed incredibile impresa alpinistica Italiana.
Sgombriamo subito il campo da ogni ragionevole dubbio: quest’anno la Valtournenche e l’Italia intera sono impegnate nei festeggiamenti della conquista del Cervino, avvenuta esattamente 150 anni fa. Era l’una e quaranta di venerdì 14 luglio del 1865 quando l’alpinista inglese Edward Whymper e la sua guida, partiti da Zermatt, risalendo la cresta dell’Hornli, misero piede per la prima volta nella storia dell’umanità sulla sommità della quinta montagna più alta d’Europa. 4478 metri. Un vero e proprio evento per un’Italia, da poco divenuta Unita, abituata a pensare al Cervino come ad una vetta irraggiungibile e circondata dal mistero di leggende spaventose.
Leggende che trovarono purtroppo una sorta di tragica realizzazione nell’incidente occorso alla cordata di Whymper proprio mentre rientrava a valle. Tre alpinisti e due guide persero così la vita per una fatalità che ancora oggi lascia immensi interrogativi che solo le gelide nevi del Cervino potrebbero risolvere.
Contemporaneamente però, sull’altro versante, quello italiano, altri alpinisti intrepidi tentavano l’impresa. Un passo dopo l’altro, una picozzata dopo l’altra, determinati a raggiungere la vetta, vennero costretti alla ritirata più volte dalle avverse condizioni meteorologiche. Una maledizione a cui però la nostra eroica cordata non si arrese. Gli italiani, sotto gli incitamenti dell’ingegner Giordano e dell’abate Gorret, riformarono una eroica comitiva composta da Carrel, Jean-Baptiste Bich, detto Bardolet, Amé Gorret e Agostino Meynet. Partiti nuovamente il 16 luglio, dopo aver bivaccato alla Gran Torre, il 17 luglio 1865 raggiunsero rapidamente la base della Testa del Cervino trovando una via sul versante nord: Jean – Antoine Carrel (detto il Bersagliere) e il fidato compagno di cordata Baptiste Bich toccarono la vetta della Gran Becca, l’ultima montagna delle Alpi, sopra i 4000 metri non ancora scalata.
Per gli Italiani poco conta quella manciata di ore amare e ingrate che separano le due imprese: a noi oggi, basta festeggiare la conquista di un’istituzione Alpina, amata e onorata come poche altre vette al mondo.

Edward Whymper
Si scrive Cervino,
Si pronuncia Gran Becca!
Non fatevi trovare impreparati!
Il nome di sua maestà ha origini lontane. Molto prima che gli scalatori di ogni tempo iniziassero a scrutarne serracchi e rocce dall’ameno albergo Panorama nella stupenda conca di Cheneil, i nostri antenati romani avevano già messo gli occhi su una valle che, all’epoca, risultava ricca di legname e di acqua poichè ricoperta di foreste. Per questo motivo battezzarono l’attuale Cervino con il nome di MONS SILVANUS, cioè monte Boscoso. Furono i confinati francesi, in epoca “moderna”, ad abbreviarne l’epiteto storpiandolo da “Mons Silvanus” a “Serven“.
Una valle, quella che avete l’occasione di visitare, che venne prescelta sempre da Giulio Cesare per realizzarvi anche l’insediamento di Augusta Praetoria Salassorum, oggi chiamata Aosta. Del passaggio Romano rimangono in città numerosi segni ma questa è un’altra storia.
Torniamo a chiarire il motivo per cui oggi chiamiamo questa vetta Cervino. Tutta colpa di uno dei primi Cartografi d’Italia, Monsieur De Saussure, che registrò come nome di questo monte “Cervin” sottolineando un chiaro quanto errato riferimento alla presenza di cervi.
E Gran Becca? In Patois Valdourtain (il dialetto della Valle D’aosta) significa “Grande Montagna” ed è l’affettuoso soprannome che i valdostani gli hanno assegnato.
In questi giorni quindi non dimenticate di rivolgere al Cervino uno sguardo che gli auguri